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Reggio Calabria. Continuano le morti al canile comunale

Si chiamavano Gigi e Mara le ultime due vittime dell’epidemia di cimurro che sta decimando gli ospiti del canile comunale di Reggio Calabria, sito a Mortara di Pellaro. Le ultime due di sei a quanto pare, o forse più, il numero esatto non è dato saperlo. Di certo si sa che tra le vittime c’erano dei cuccioli, i più fragili e indifesi di fronte la malattia, ma anche adulti affetti da leishmaniosi che, apparentemente in salute, sono stati contagiati e non ce l’hanno fatta.

Epidemia o cattiva gestione?

Facile che in un canile i cani si contagino a vicenda, si sa. Doveroso, quindi, prendere delle precauzioni sanitarie per evitare l’avanzare delle malattie e lo scoppio di epidemie. Si sa anche questo. Strano certo che in una città come Reggio Calabria, afflitta da un fenomeno importante come quello del randagismo, non si sentisse parlare di cimurro da almeno un decennio e che fosse più facile che i cani morissero per mano diretta dell’uomo piuttosto che a causa di un’epidemia terribile come quella che si è abbattuta in questi ultimi mesi sul canile di Mortara. Strano altresì che la struttura, rimasta vuota per anni, nonostante una regolare assegnazione in seguito a un bando, e occupata abusivamente negli ultimi due anni dall’associazione Dacci una Zampa onlus, faccia parlare così tanto di sé solo dallo scorso aprile, quando i legali affidatari, l’associazione Aratea, ne hanno preso finalmente possesso; e che prima di questa data la città potesse contare su un servizio impeccabile, se non da parte delle istituzioni, quantomeno dei volontari. Tante stranezze che, sommate l’una con l’altra, portano inevitabilmente a pensare che le morti all’interno del canile comunale siano di certo causate da un’epidemia, ma che siano favorite, purtroppo, da una gestione sbagliata della struttura stessa.

La storia

Ma andiamo per ordine per comprendere meglio ogni singolo tassello che compone questo inquietante quadro. Il canile comunale viene inaugurato nel 2008, ma mai reso agibile e aperto al pubblico. Vengono spesi 650 mila euro per realizzarlo. Perché spendere così tanti soldi per realizzare una struttura che non verrà mai utilizzata?
Nel 2012 viene finalmente indetto un bando per la gestione, aperto ad associazioni di volontariato “nel cui Statuto rientri espressamente la finalità di protezione degli animali e dell’ambiente” e che tra i requisiti abbiano una “comprovata esperienza nell’accudimento dei cani”. Tra le associazioni partecipanti la vincitrice è Aratea, “un’associazione di utilità sociale e senza fini di lucro che svolge attività nei settori della ricerca scientifica e sociale, dell’assistenza sociale alle fasce deboli e dell’educazione, mediante l’utilizzo degli animali da compagnia e dell’ambiente naturale”, pet therapy e riabilitazione equestre per intenderci. Un po’ distante forse dai requisiti richiesti? 
Nel 2013 Aratea non ha ancora dato inizio alla sua gestione e alla fine dell’anno qualcuno denuncia. È l’associazione animalista Dacci una Zampa onlus, l’unica attiva sul territorio per la lotta al randagismo, l’unica che negli anni si è arrangiata a proprie spese per dare una vita dignitosa ai cani abbandonati.

Ma la sua voce rimane inascoltata e così i volontari decidono di occupare la struttura, renderla agibile e ospitare lì i cani bisognosi del territorio che fino ad allora avevano trovato ospitalità in alloggi di fortuna. Ha inizio così una nuova vita per i randagi reggini. Il mostro di cemento abbandonato prende vita e diventa un’oasi felice come mai si sarebbe pensato di trovare nella sfortunata terra sovrana del randagismo. E infatti il sogno dura poco. Dopo due anni di occupazione e impeccabile gestione, Dacci una Zampa viene fatta uscire dalla struttura nella quale entra il legittimo gestore. Siamo ad aprile 2016.

L’inizio dell’incubo

Grazie a un accordo tra associazioni, Dacci una Zampa può continuare ad accudire i suoi cani in attesa della nascita di Ohana, un progetto di rifugio ad opera dell’associazione stessa. E nel frattempo il canile comunale gestito da Aratea continuerà ad ospitare i randagi e a portare avanti le adozioni. Ma qualcosa si inceppa. I cani iniziano a stare male, la struttura viene spesso chiusa al pubblico, tant’è che occorre chiamare le forze dell’ordine per farvi accesso, e i volontari non riescono più ad accudire gli animali, alcuni dei quali disabili. Si dirà che il problema derivi dallo scontro tra le due associazioni, ma di fatto gli animali sono magri, le gabbie piene di escrementi e i ricoveri in clinica all’ordine del giorno. Moriranno così diversi cuccioli seguiti da cani adulti leishmaniotici, e quindi debilitati, e il bollettino medico riporterà che si tratta di cimurro. 

Come mai?

E adesso le domande nascono spontanee. Come mai in due anni di gestione di Dacci una Zampa i cani sono stati sempre bene e mai un’epidemia ha fatto capolino in canile? Come mai da aprile 2016 la situazione è peggiorata fino a precipitare? Come mai il canile è stato affidato a un’associazione che non ha alcuna esperienza in merito alla gestione dei cani? Come mai le autorità non stanno vigilando su quanto sta accadendo? Come mai il Sindaco Giuseppe Falcomatà non si interessa a questa incresciosa vicenda? Perché i cittadini non insorgono pretendendo che i soldi delle loro tasse vengano spesi coscientemente?

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